Drifting Magazine

L’arte del brumeggio

di Umberto Simonelli

Il suo nome corretto è brumeggio, ma tutti la chiamano pasturazione.

L’enciclopedia Treccani ne da questa definizione: ”miscuglio di cibi che i pescatori buttano ai pesci per attirarli”

Ed in effetti questo è il senso e lo scopo dell’azione del pasturare… attirare i pesci, stimolarne la frenesia alimentare e portarli così nella zona in cui insistono le nostre esche, nell’intento quindi di farli abboccare.

Un concetto così lineare che sembra non fare una piega, talmente semplice che davvero sembrerebbe sufficiente gettare in acqua un po’ di pastura per fare carniere.

Ma non sempre è così. Anzi siamo convinti che la pasturazione sia una vera e propria arte che debba tenere in considerazione una molteplicità di aspetti e situazioni, tutt’altro che di facile intuizione.

 

Un tonno in pastura

 

Pesci e non galline

Tornando alla efficacia dell’azione di brumeggio, prima di ragionare sulle varie metodiche da applicare, è bene ricordare che i pesci non sono galline, disposti a mangiare sempre e comunque basta che ce ne sia.

I pesci hanno un metabolismo e una capacità discriminante rispetto a ciò di cui si possono nutrire, diverso dagli animali con i quali ci rapportiamo quotidianamente e, sebbene a volte, sembrino impazzire per un po’ di sarde o per un po’ di pane, ciò non sempre basta a facilitare le catture.

 E, a proposito di pane, a tutti sarà capitato di imbattersi in cefali ed occhiate che si concentrano frenetici sulla pastura, scartando con cura l’innesco con una capacità di discriminazione veramente incredibile.

Questo ci faccia meditare, perché succede così anche con i tonni … ad esempio

Olfatto & gusto

I pesci sono dotati di olfatto e di gusto.

Sensi spiccatissimi ma diversi da come ce li immaginiamo, anche perché il “veicolo di propagazione” degli odori è l’acqua ben diversa dall’aria, con cui ci rapportiamo quotidianamente.

Se l’odore di una torta nel forno (che è la parte volatile della calda leccornia) ci raggiunge diffondendosi trasportata dalle correnti d’aria, l’odore della nostra pastura, segue la legge di un vettore diverso che è l’acqua, con le sue correnti ed il peso specifico della pastura stessa che ne influenzano l’andamento.

E i pesci per sentirla debbono entrare nella corrente giusta, alla quota e alla temperatura giusta.

Perché “gli odori”, che in realtà sono particelle di pastura, si diffondono in un modo molto particolare negli strati di acqua, come se questi fossero vie di comunicazione.

Insieme all’odore, il pesce percepisce anche i sapori, perché grazie ad organi specifici riesce ad “assaggiare” quello con cui si confronta, captandolo anche da miglia di distanza.

 

Una pasturazione fine è un’ottima strategia per diffondere aromi e sapori senza saziare i pesci e tenerli sempre in frenesia alimentare

 

Come missili a ricerca automatica

I predatori, soprattutto i pelagici, grazie alle loro capacità di olfatto e gusto, sono in grado di individuare la preda intercettando le loro “tracce biologiche”.

Infatti sono in grado di percepire a distanze veramente importanti i branchi di prede, assaporandole e sono capaci quindi di tracciare la rotta di intercettazione diretta.

Quando si tratta di banchi di pesce foraggio il loro interesse è polarizzato totalmente e nulla li distrae dal bersaglio; come i missili … da guerra.

Questo fa sì che possano anche ignorare totalmente la nostra succulenta pasturazione, rendendone vano lo scopo.

 

La pasturazione deve essere cadenzata e mai troppo abbondante in modo da creare una strada che porti i pesci verso le esche

La vista

A nostro avviso, la grande selettività dei pesci, rispetto alle esche, morte ma in alcuni casi, anche vive è frutto della grande capacità di discriminazione.

Una sorta di percezione ”digitale” del movimento che è l’unica discriminante tra un boccone sicuro ed uno pericoloso.

Un trancio di sarda in caduta libera ben si differenzia agli occhi di un tonno rispetto a quella legata ad un filo.

 

Palamite, alletterati sono altre delle prede che vengono attirate in pastura

Potrà essere perfettamente uguale, per foggia e peso ma sarà il movimento in acqua a renderla totalmente diversa.

Ecco perché spesso ridurre la sezione dei terminali paga, in quanto la sezione più sottile genera meno attrito in acqua e soffre meno la corrente.

Non sarà la minore visibilità della lenza, a questo punto, a fare la differenza, ma il vincolo minore.

Questione di profondità

La pasturazione può avere un maggiore o minore effetto attirante a seconda della profondità a cui riesce a lavorare.

Come dicevamo in precedenza, non solo gli odori si propagano nelle stratificazioni dell’acqua, facendo si che siano avvertibili solo ad alcune quote ma molto frequentemente addirittura la pasturazione sorvola la quota in cui insistono le esche o ci passa sotto, a seconda delle condizioni di corrente.

 

Anche le orate possono essere insidiate con un brumeggio mirato a fondo

 

Motivo per cui uno studio delle correnti è determinante così come lo è riuscire a variare la quota di lavoro della pastura.

Cosa che si può fare ricorrendo a pasturatori a lame immersi, pasturatori a sgancio o appesantendo “palle” di brumeggio incollato, con della sabbia.

 

Portare la pastura ad una quota più profonda può voler dire intercettare i pesci a batimetriche difficili da raggiungere con il brumeggio da superficie

 

Queste ultime affondando lasciano scie di odore per tutto il loro percorso.

Ma si può anche amplificare il richiamo olfattivo del brumeggio, con una maggiore visibilità, ad esempio aggiungendo pane e farina, che creeranno una nuvola visibile e sapida.