Magazine Tecniche verticali

Ritorno al vertical ….

 di Domenico Craveli

Parlare di vertical oggi, potrebbe sembrare un nostalgico ritorno al passato, alla ricerca di vecchie emozioni rispolverando un trascorso forse troppo lontano.

Anzi, forse, per le nuovissime generazioni corriamo il rischio di argomentare su una tecnica, soprattutto se ci riferisce all’epopea delle grandi e pesanti esche, totalmente sconosciuta.

Malgrado tutto però le tecniche verticali, arrivate nelle nostre acque come un ciclone, dai mari del sol levante, hanno lasciato tracce indelebili e nel mondo della pesca dalla barca addirittura davvero importanti tanto da aver cambiato l’approccio a tecniche molto più tradizionali, come, solo per fare un esempio, la traina.

Ma in fondo pescare in verticale è entrato nel dna di tutti i pescatori dalla barca.

Basti pensare al punto zero del vertical che è il sabiki o alle tecniche ultra light o ancor più semplicemente ai piccoli jig che oggi imperversano, con tanto rendimento, nella pesca dalla barca sulle mangianze e non solo.

Ma anche le gomme oggi così in voga …

 

 

Al di là del fatto che la tecnica si è evoluta in più direzioni privilegiando la leggerezza, c’è da dire che nell’esercizio di questa pesca usando esche a volte davvero improbabili (almeno dal punto di vista imitativo) ci sono elementi e sfumature che se  correttamente e  attentamente interpretati aprono le porte al comportamento dei pesci, con grande vantaggio per tutte le tecniche.

Ma a parte questo, nei mesi invernali le tecniche verticali possono dire ancora la loro e allora  val bene la pena di spendere qualche parola su tanti aspetti comuni a tutte le declinazioni di questa pesca.

Anatomia di un attacco

 Quale è la molla che fa scattare l’aggressione? E cosa fa desistere un pesce dall’attacco dopo un inseguimento?

Siamo in grado di dare risposte a queste domande, oppure no? Siamo in grado di gestire queste variabili con il nostro bagaglio tecnico?…

Gli stimoli che portano un predatore a scatenarsi nei confronti di un’esca, e non solo artificiale, sono una delle incognite più importanti che alimentano i nostri dubbi.

Capita, proprio quando pensiamo di aver capito il segreto dello “strike sicuro” , che ci tocca ritornare di corsa con i piedi per terra e ricominciare da capo.

 

 

 

Questo vale sia per l’artificiale “fine di mondo” quanto per le esche naturali più ghiotte che un pesce possa pretendere.

Quindi c’è un qualcosa in più; difficile da scoprire perché ci si confronta sempre con eventi e situazioni in rapida e continua evoluzione la cui replicabilità è impossibile.

Ma torniamo al vertical e al ruolo che riveste il pescatore ovvero chi ha in mano la canna, colui il quale animerà quell’esca così strana.

Il ruolo del pescatore

 

 

 La capacità del pescatore di imprimere all’esca la giusta animazione è determinante, ma sia chiaro anche che non esiste uno “stile” unico ed efficace, perché a modi diversi di muovere un artificiale, possono corrispondere ugualmente risultati positivi.

Ed allora, cosa bisogna fare?

Non rimane altro che pescare senza fossilizzarsi su movimenti sempre uguali perché la monotonia non è gradita neanche ai pesci e il tema da seguire è quello della variazione continua.

Questo non significa agitarsi a casaccio ma creare anche degli schemi, immaginando il “ballo dell’esca” e in qualche modo cercando di imitare ciò che potrebbe fare un’esca viva.

Perché gli stimoli che portano all’aggressione sono si molteplici, ma ben precisi e, tra causa ed effetto,… ci siamo in mezzo proprio noi!

Immaginiamo

 Il nostro artificiale arriva sul fondo e viene notato da un dentice.

Il predone non aggredisce, ma viene incuriosito… intanto l’artificiale risale verso la superficie sotto il ritmo delle jerkate, ricade giù nel medesimo punto e riparte nel medesimo modo…  e così per più volte.

Il pesce sicuramente ignorerà l’inganno …

 

 

Ma se la stessa esca arriva sul fondo, risale qualche metro, ricade giù, si posa sul substrato e saltella su di esso, poi si sposta, si risolleva, si ferma in corrente e poi scatta in una fuga convulsa allora la curiosità si trasformerà in un attacco.

 Questioni di peso

 Un altro aspetto che non va trascurato è la relazione tra ritmo di jerking e peso dell’esca.

Si deve stabilire una sorta di “accordo” tra esca, ritmo e sistema pescante, perché è solo così che si realizza un controllo perfetto.

Spesso nella scelta dell’artificiale si decidono dimensioni e forma per far fronte principalmente all’intensità della corrente e alla profondità da raggiungere, nell’idea che la massima efficacia si ottenga solo con un’animazione in perfetta verticale sotto la barca.

 

 

Nella pratica poi, abbiamo più volte constatato che pescare più leggeri di quanto verrebbe spontaneo porta a risultati migliori.

Un artificiale leggero  che, oltre a muoversi sotto le nostre animazioni, “nuota” anche in corrente senza sembrare un proiettile, fa sicuramente la differenza.

E questo è quanto si è messo in campo con la tecnica più recente dello “slow pitch” o con i piccoli jig nelle mangianze sotto costa  o ancor più  con le gomme che sfruttano maggiormente queste capacità di nuoto.

Pescare in verticale è sicuramente una frontiera ancora tutta da esplorare …